La liturgia tradizionale – quella della Messa in latino secondo il Messale del 1962 – torna a far tremare le mura vaticane. Non per miracoli o apparizioni, ma perché qualcuno ha avuto l’ardire di alzare il tappeto e mostrare la polvere. A sganciare la bomba è una donna, americana e con più fegato di certi monsignori: Diane Montagna, giornalista dal fiuto fine e dalla penna affilata come una lama da bisturi.
Montagna ha messo le mani su un documento “riservato”, di quelli che in Vaticano finiscono solitamente sotto chiave accanto ai faldoni di Vatileaks e alle vere ragioni di certe nomine episcopali. Si tratta di un’analisi prodotta nel 2021 dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, commissionata per giustificare il motu proprio Traditionis Custodes, ovvero il colpo di mannaia con cui Papa Francesco ha deciso di bastonare la Messa tradizionale. Ebbene, quel documento dice l’esatto contrario della narrazione ufficiale. Roba da far saltare sulla sedia anche i cardinali più ingessati.
La favola bella (che oggi suona male)
Secondo Francesco, i vescovi consultati nel 2020 avrebbero espresso gravi preoccupazioni: troppa divisione, troppa nostalgia, troppi giovani inginocchiati. Quindi via tutto: liturgia vetus ordo declassata a stramberia da ridimensionare.
Peccato che la realtà – quella con le carte in mano – dica tutt’altro. Il dossier riservato, ora reso pubblico grazie al lavoro giornalistico di Montagna, rivela che la maggior parte dei vescovi interpellati si è detta favorevole a continuare la linea di Summorum Pontificum. Tradotto: la Messa in latino non era un problema, ma una risorsa.
Altro che richiesta diffusa di abolizione. Qui qualcuno ha raccontato una balla spaziale, roba che in un’azienda privata varrebbe il licenziamento in tronco. Ma in Vaticano, si sa, le verità scomode finiscono nei cassetti, e chi le apre rischia l’esilio in parrocchie siberiane.
Il documento bomba
Il testo riservato – 224 pagine che pesano più di certe omelie domenicali – contiene una frase che da sola basterebbe a sbugiardare un intero pontificato: “La maggioranza dei vescovi che hanno risposto al questionario ritiene che apportare modifiche legislative a Summorum Pontificum causerebbe più danni che benefici.”
Ecco servita la verità: la linea Benedetto funzionava, la gente era contenta, le vocazioni crescevano. Ma Francesco, con l’aria di chi sistema le cose “per il bene della Chiesa”, ha preferito dare retta a una minoranza rumorosa, probabilmente infastidita dall’odore dell’incenso e dal latino troppo elegante per certe orecchie sinodali.
Fuga dalle responsabilità in Sala Stampa
Alla notizia della pubblicazione del documento, in Vaticano sono cadute più mascelle che ostie in una processione. Il direttore della Sala Stampa, Matteo Bruni, ha balbettato qualcosa come “documento non pertinente” – frase che meriterebbe il premio Nobel per l’ambiguità. Una risposta degna del peggior portavoce politico, quelli che dicono e non dicono, mentre intorno tutto crolla.
Nel frattempo, il responsabile dell’applicazione del motu proprio, monsignor Viola, è stato zittito in pubblico come un chierichetto che ha fatto una domanda fuori posto. Così, mentre il Papa predica trasparenza e sinodalità, in pratica si risponde come nei peggiori comitati centrali sovietici: “Questo non è affare vostro.”
La collegialità secondo Santa Marta
L’intera vicenda mostra la grande ipocrisia di questo pontificato: si invoca il parere dei vescovi, ma poi lo si ignora come il libretto d’istruzioni di un mobile Ikea. Francesco ha fatto piazza pulita della Messa antica non perché i vescovi lo volevano, ma nonostante il loro parere contrario.
Collegialità? Un paravento. La verità è che quando Bergoglio aveva un’idea in testa, neanche un bulldozer poteva spostarla. Ma forse, prima di sfasciare un tesoro liturgico millenario, era il caso di ascoltare più parroci e meno teologi col poncho e la chitarra.
La base cattolica non ci sta
Dal basso, la risposta è stata tutt’altro che silenziosa. Joseph Shaw, presidente della Latin Mass Society, ha sparato a zero: «Le nuove rivelazioni dimostrano che Traditionis Custodes è stato costruito su fondamenta di sabbia». E non è il solo. La base cattolica – quella vera, fatta di famiglie, giovani, e sacerdoti stufi di essere trattati da disobbedienti – comincia a rumoreggiare. Altro che pace liturgica: qui si rischia una guerra di trincea, e qualcuno a Roma finge di non sentire le cannonate.
Il libro che sbugiarda tutto
A rincarare la dose arriva anche un libro – firmato don Nicola Bux e Saverio Gaeta – che smonta pezzo per pezzo la narrazione vaticana. I dati parlano: più del 60% delle diocesi americane voleva continuare la Messa in latino. Il Sud America invece? Partecipazione bassa. Cosa sarà mai? Poca fede o tanto boicottaggio? Ai posteri l’ardua sentenza, ma l’odore di manovra c’è, e non è certo quello dell’incenso.
La menzogna come metodo
Il punto è chiaro: il Papa può fare quello che vuole, ma non può raccontare frottole. O peggio: usare il parere dei vescovi come scusa, quando in realtà se ne infischia altamente. È un problema di metodo, non di dottrina. Se uno si fida del Papa, deve anche potersi fidare di quello che dice. E qui siamo al livello “riunione di condominio coi verbali truccati”.
Verso un nuovo pontificato?
Ora molti si chiedono: ci sarà un Papa Leone XIV pronto a rimettere ordine dopo questo disastro liturgico? Forse. Di certo, la bugia è ormai nuda, e l’incenso non basta più per coprirne la puzza.
Se la Chiesa vuole davvero essere madre, deve smettere i panni del carabiniere liturgico. E magari tornare ad ascoltare. Davvero. Senza documenti truccati, senza processi alle intenzioni, senza sospetti da Santa Inquisizione 2.0.
Perché se il clero bara, la fede crolla. E stavolta non basterà una nota diplomatica per salvarsi la tonaca.
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**Link utili per approfondire:**
- Diane Montagna, La Nuova BQ: La domanda scomoda sulla Messa in latino manda Bruni in tilt
- Nicole Winfield, Adista: Cresce la pressione sul papa per la ri-liberalizzazione della messa in latino
- Diane Montagna, Substack: Official Vatican Report Exposes Major Cracks in Foundation of Traditionis Custodes
- Franca Giansoldati, Il Messaggero: Vaticano, affiora il complotto del divieto alla messa in latino
- Matteo Bruni, Pillar Catholic: Vatican spokesman: ‘Traditionis custodes’ leak ‘very partial’
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In definitiva: la storia della Messa in latino è ben più di una questione liturgica. È uno specchio che riflette il modo in cui la Chiesa attraversa le sue prove di identità, di autorità e di dialogo. Ignorare ciò che dicono i pastori sul campo, chiudere le orecchie a quella maggioranza, non è solo un errore tattico: è un campanello d’allarme per la salubrità dell’intera istituzione.
E se il vecchio adagio ci ha insegnato qualcosa, è che anche la fedeltà più ardente non può rinunciare a quel sano realismo che tiene insieme unità e verità. Chi ha occhi per vedere, ora, non può far finta di nulla.