in Papa Leone XIV, Rupnik

La svolta di Leone XIV: via le opere di Rupnik dal cuore del Vaticano

Se c’è un caso che in questi mesi tiene banco nei Sacri Palazzi, è proprio quello dell’ex gesuita Marko Rupnik: artista di fama, teologo rispettato, caduto in disgrazia sotto accuse pesantissime di abusi spirituali e sessuali su decine di religiose. A poco più di un mese dall’elezione, Leone XIV manda un segnale inequivocabile: via le immagini di Rupnik dal sito di Vatican News. Non una dichiarazione da balcone, ma un gesto chirurgico, silenzioso, definitivo. Che vale più di cento discorsi letti col tono contrito di chi chiede scusa quando ormai è tardi. Altro che “indignazione performativa”: qui si agisce, punto.

Il peso dei mosaici: arte e trauma

I mosaici di Rupnik, per i meno attenti, sembrano solo decorazioni liturgiche. Ma nel linguaggio visivo della Chiesa cattolica, sono icone potenti. Non solo arte: erano, fino a ieri, simboli sacri. Eppure – come denunciato da vittime coraggiose – dietro quelle tessere colorate si celava un processo creativo perverso, in cui l’abuso si sovrapponeva al sacro, generando un cortocircuito insostenibile. Continuare a mostrare quelle opere significava ignorare un dolore vero. E questo il Vaticano, ora, lo ha capito. Tardi, malvolentieri, e sotto pressione: ma lo ha capito.

Ci sono voluti anni e più di una pressione dall’esterno. E sì, anche un cambiamento al vertice. Ma alla fine, il Dicastero per la Comunicazione ha agito. Senza proclami, senza fanfare. E qualcuno si è permesso pure di lamentarsi del silenzio con cui è avvenuta la rimozione, come se il vero scandalo fosse la mancanza di un comunicato stampa. Roba da girone dei commentatori indignati per partito preso. Quando si fa la cosa giusta, non serve un tamburo. Il rispetto, a volte, si esercita col silenzio, non con la grancassa.

Leone XIV: silenzioso, ma netto

Il nuovo Papa ha incontrato fin da subito la Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori, e da lì è partito un segnale chiaro. Il risultato? Le immagini spariscono dal portale ufficiale della Santa Sede. Con discrezione, certo, ma anche con fermezza. E chi invoca “più trasparenza” forse dimentica che certe cose si fanno, non si annunciano come operazioni di marketing. C’è un tempo per le parole e un tempo per togliere i santi dai piedistalli. Questo è il secondo. E chi sperava in una nota stampa infiocchettata, forse ha scambiato la Chiesa per un’agenzia di PR.

L’avvocata Laura Sgrò, che da anni assiste religiose vittime di abusi, ha accolto con favore il gesto. Troppo tardi? Forse. Ma intanto il gesto c’è. È più di quanto si sia visto negli anni precedenti, quando si preferiva fingere che le accuse contro Rupnik fossero un problema di altri. E quando l’omertà si travestiva da “prudenza pastorale”.

Un processo che pesa, un’eredità che brucia

Certo, il procedimento canonico è ancora in stallo. Troppe paure, troppi occhi addosso. Il Dicastero per la Dottrina della Fede cerca giudici con il profilo adatto, ma la macchina è lenta. Inaccettabilmente lenta. Il rischio? Che si arrivi a sentenza quando ormai nessuno ha più voglia di ascoltarla. Ma anche qui qualcosa si muove. Il superiore dei gesuiti, padre Sosa, ha parlato apertamente di “fallimenti” nella gestione interna. Non è prassi comune ammettere errori con questa franchezza in ambienti ecclesiastici. Siamo pur sempre in una casa dove, per decenni, la parola d’ordine è stata: coprire, tacere, proteggere. E oggi, finalmente, si comincia a grattare via la vernice ipocrita della “protezione del buon nome”.

Lourdes sì, Roma ni

Nel frattempo, a Lourdes hanno coperto i mosaici. A Roma si tentenna. Il Vicariato non ha ancora preso una posizione netta, e il cardinale Baldo Reina – erede di De Donatis – sembra restio a sbilanciarsi. Ma è una questione di tempo. Quando la linea arriva dal centro, la periferia segue. E se non lo fa, si isola. Più che un problema morale, è un corto circuito ecclesiale: non si può dire che si sta dalla parte delle vittime e poi esitare davanti a un gesto simbolico come questo. Perché anche i simboli, nella Chiesa, sono vangelo. O diventano scandalo.

La rimozione delle immagini di Rupnik non è censura né revisionismo. È un gesto sobrio, necessario, che dice chiaramente: non si può annunciare la resurrezione su un altare costruito col dolore altrui. E se il Dicastero per la Comunicazione ha scelto il silenzio, ha fatto bene. La sobrietà, a volte, è più evangelica della trasparenza urlata a comando. A patto che quel silenzio non sia l’ennesima pausa tra un insabbiamento e l’altro, ma l’inizio di un’epoca in cui finalmente si parla meno… e si fa di più.

Il vero nodo: la riforma della giustizia

Il caso Rupnik è solo la punta di un iceberg. Resta il tema, gigantesco, della riforma della giustizia ecclesiastica. Processi lenti, criteri arbitrari, reticenze. È qui che Leone XIV si gioca tutto. E lo sa. La sua scelta di togliere le immagini dal sito non è rivoluzione, ma è il punto di partenza. Come dire: si comincia dalle pareti, poi si passa ai tribunali. Chi spera in un gesto eclatante, resti deluso. Chi spera in un cammino serio, invece, ora ha un motivo per sperare.

La Chiesa ha molto da farsi perdonare, ma non tutto è perduto. La rimozione delle immagini di Rupnik è un atto che parla di giustizia, di rispetto, e – seppur tardi – di responsabilità. C’è chi storce il naso perché non si è fatto abbastanza rumore. Ma forse è proprio questo il punto: le cose giuste non sempre hanno bisogno di rumore.

Leone XIV, con il suo stile misurato e inflessibile, ha aperto una porta. Tocca ora alla Curia seguirlo, senza tergiversare, senza mimetizzarsi dietro la retorica. In tempi in cui molti parlano per sembrare coraggiosi, forse l’unico vero coraggio è fare senza annunciare. Perché quando si ha il coraggio della verità, non serve un comunicato stampa: basta un gesto. Uno solo, ma fatto bene.

Questa volta, hanno fatto bene. E l’hanno fatto sul serio.