Quasi una predica. La rubrica di don Attilio
Famiglie allo sbando e parole al vento
Ogni tanto il Papa dice cose che farebbero bene a chiunque, anche a chi non crede. Tipo che la famiglia è il primo rifugio contro la tempesta della vita. Che non si può costruire una società sana su relazioni fragili come cristalli di Murano. Che il matrimonio non è un contratto da stracciare a piacimento, ma un’avventura da affrontare con fede e pazienza. Applausi.
E poi uno alza lo sguardo dalla poltrona e si guarda intorno. Famiglie che non parlano più, o che parlano solo con messaggi vocali. Genitori che crescono i figli come se fossero piantine da bonsai: belli da vedere, ma incapaci di resistere al vento. E figli che, appena crescono, fuggono dalla fede come se fosse una tassa da pagare.
Non è questione di nostalgia. Nessuno vuole tornare ai tempi delle suore con la bacchetta e del padre-padrone che bastava uno sguardo per metterti in riga. Però un po’ di senso del sacro, della responsabilità, del “per sempre” forse non farebbe male.
Il Papa, da parte sua, pesca. “Pescatori di famiglie”, li chiama i vescovi. Ma il mare è agitato, e le reti si rompono facilmente. Manca il tempo, manca la voglia. E spesso manca anche l’esempio.
Eppure — e questa è la parte che mi piace di più — lui continua a crederci. Continua a dire che possiamo cambiare rotta. Che possiamo tornare a guardarci negli occhi e non solo nei riflessi dello smartphone. Che la fede può essere una bussola, non un fardello.
Chissà, forse la rivoluzione più silenziosa è proprio quella che parte da una cucina disordinata, con due genitori stanchi e un figlio che chiede: “Ma noi, a cena insieme, ci stiamo ancora?” E lì, forse, si comincia a credere.