Quasi una predica. La rubrica di don Attilio
Una candela accesa
Nel 1434 Jan van Eyck dipinse due sposi immobili in una stanza fiamminga, circondati da oggetti che parlano più delle loro espressioni. Un cane fedele, una candela accesa, uno specchio che riflette il mondo alle loro spalle. Si tengono per mano, ma non sembrano abbracciarsi. È tutto trattenuto, ma solenne. Come se il vero calore, quello che fa durare un matrimonio, fosse nascosto tra le pieghe dei simboli.
Quel dipinto, oggi esposto a Londra, racconta meglio di mille reality o consigli matrimoniali cosa sia davvero l’amore coniugale: un patto silenzioso, ma profondo. Un contratto scritto con la lingua della fedeltà e della presenza.
Papa Leone XIV, durante il Giubileo delle Famiglie, ha detto che il matrimonio è “il canone del vero amore tra uomo e donna”. E che la famiglia non è un’aggiunta sentimentale, ma la radice di tutto. Parole semplici, quasi disarmanti. Come il cane dell’Arnolfini: piccolo, ma pieno di senso. Oppure come quella candela, che brucia anche se è giorno, a ricordarci che Dio c’è anche quando la luce sembra superflua.
Viviamo in un’epoca che ci spinge a rinnovare tutto: abbonamenti, telefoni, perfino partner. Eppure, ogni tanto fa bene ricordare che ci sono cose che non si rinnovano, si custodiscono. Che l’amore, quello vero, non è sempre eccitante, ma è affidabile. Non grida, ma resta. E che la vera rivoluzione, oggi, è non andarsene alla prima difficoltà.
Forse il segreto di quel quadro non è nella posa degli sposi, ma nello specchio dietro di loro. Dove ci siamo noi, riflessi. A chiederci se siamo capaci di accendere una candela e tenerla viva. Anche quando nessuno guarda.