Questa mattina, il Santo Padre Leone XIV ha celebrato la Santa Messa nelle Grotte Vaticane, accanto alla storica tomba di San Pietro. Una scelta tutt’altro che banale: è un gesto simbolico, pesante come un macigno, e non certo messo lì a caso. Oggi è la Domenica del Buon Pastore, occasione ghiotta per mettere il dito nella piaga e parlare dell’ascolto, quell’arte dimenticata in tempi in cui tutti urlano e nessuno sente.
L’omelia parte a razzo. Leone XIV prende la parola in inglese — sì, avete letto bene, inglese — provocando un certo sussulto tra i presenti. Inclusione, certo, ma anche modernità con lo zucchetto ben calcato. “Le mie pecore ascoltano la mia voce”, ha detto. Frase semplice? Sì. Ma potente, come uno schiaffo a mano aperta. Il messaggio è chiaro: bisogna smetterla di fare i sordi, verso Dio e verso gli altri. Costruire ponti, non muri. Aprire le orecchie e il cuore, altroché.
E oggi è pure la Festa della Mamma. Il Papa lo ricorda con furbizia evangelica: amore materno come riflesso dell’amore divino. È una mossa astuta, quasi furba, per addolcire i toni e scaldare i cuori. Ma va bene così. Un Buon Pastore che sa essere tenero e non solo bastonatore, per una volta non guasta.
Poi arriva il tema delle vocazioni, che ormai stanno ai minimi storici. Leone XIV lo sa bene: i giovani scappano a gambe levate e i seminari risuonano come chiese vuote. Serve aria nuova, serve esempio. Non si può restare chiusi nei sacristi a contar rosari mentre il mondo fuori crolla.
La società è un cantiere abbandonato, piena di egoismi e guerre da baraccone. E in questo guazzabuglio, Leone XIV lancia un appello da generale sotto assedio: coraggio! La Chiesa non può più permettersi di restare in pantofole. Paolo e Barnaba ad Antiochia sono il modello. Missionari veri, mica funzionari da curia.
Certo, le critiche non mancano. Anzi, i soliti bastian contrari sono sempre in agguato. E gli scandali — diciamolo senza peli sulla lingua — hanno massacrato la reputazione del clero come un caterpillar in discesa. Ma Leone XIV pare uno che non ha paura di rompere piatti se serve. Per alcuni è una boccata d’aria nuova. Per altri, un rischio. Ma almeno si muove. E si sa: se non ti muovi, marcisci.
Nella cripta di San Pietro si respirava solennità vera. Non le solite liturgie asettiche da catalogo. Eppure anche lì, tra incenso e luci soffuse, si percepiva un certo scetticismo. Non tutti pendono dalle labbra del Papa. Ma le sue parole, oggi, avevano peso. La celebrazione è stata una piattaforma. Un ring, più che un altare. Una chiamata alle armi spirituali.
Leone XIV ha gettato il guanto. Il tempo dei balocchi è finito. Serve ascoltare, dialogare, e smetterla di vivere nella bolla. Ma attenzione: in alto ci sono ancora troppi che fanno spallucce. Le ideologie si agitano come serpi nel sottobosco vaticano. Il rischio di frattura è reale, concreto, e Leone XIV non lo nasconde.
Insomma, colpo al cuore della Chiesa. In un mondo che si diverte a metter le persone in scatole, il Papa sceglie l’unità. Scelta coraggiosa, forse persino pericolosa. Ma necessaria. Perché il dogmatismo può anche fare scena, ma non scalda i cuori. L’amore, quello sì.
Certo, non basta un’omelia per cambiare le sorti del mondo. Ma ogni viaggio inizia con un passo. E oggi Leone XIV quel passo lo ha fatto, a viso scoperto. Il suo messaggio? Basta paura. Basta chiusure. Torniamo ad ascoltare. Giuseppe e Maria dissero “sì” senza garanzie. Noi, oggi, sembriamo preferire il “no” di comodo.
La Santa Messa di oggi non è stata solo rito: è stato un appello. Una sveglia spirituale. Chi vuole capire, capisca. Chi ha orecchie, ascolti. Il Buon Pastore ha parlato. Ora tocca a noi muoverci.
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