Castel Gandolfo, 13 luglio 2025 – È tornata la grande scena papale, quella che solo certi giorni e certi uomini sanno regalare. Papa Leone XIV, fresco di nomina ma non certo di ingenuità, ha fatto centro. Niente effetti speciali, ma una sobrietà che buca lo schermo, una sostanza che mette d’accordo credenti convinti e miscredenti educati.
La giornata si è srotolata con l’ordine di una sinfonia ben diretta. Alle 10 in punto, nella raccolta Parrocchia Pontificia di San Tommaso da Villanova, chiesa di rara grazia barocca nel cuore del borgo, il Pontefice ha celebrato una Messa che, più che funzione religiosa, è parsa una dichiarazione d’intenti. Poi, a mezzogiorno spaccato, il primo Angelus da Castel Gandolfo: scenario da film neorealista sotto la pioggia, tremila anime strette come sardine, ombrelli al cielo, facce rivolte al balcone. La meteorologia nemica? Roba che non spaventa chi sa riconoscere la Storia quando passa.
La cornice? Castel Gandolfo, una perla tra i Castelli Romani
Castel Gandolfo, perla papale per antonomasia, ha riacceso i riflettori dopo anni di torpore. L’architettura, le strade acciottolate, l’aria d’altri tempi: tutto ha contribuito a rendere la giornata un evento da incorniciare. Al centro, la chiesa di Bernini — passata dagli Agostiniani ai Salesiani — ha accolto un Pontefice che sa dove mettere le mani e come risvegliare coscienze cadute in letargo.
Sicurezza a tappeto, ma senza paranoia. Forze dell’ordine ovunque, Polizia, Carabinieri, Finanza: un apparato serrato ma discreto, come si conviene nei giorni che contano. Eppure, il clima era di festa, di quelle vere, senza la patina stucchevole dei grandi eventi istituzionali. La gente partecipava, non assisteva.
Il parroco, Don Tadeusz Rozmus, uno che ci mette la faccia da anni, ha definito la visita del Papa “un segno di unità”. Non una frase da bollettino parrocchiale, ma un sentimento autentico, costruito con mani callose e piedi consumati. Volontari dell’Opus Dei, giovani dell’oratorio, gente che corre, sistema, prepara, senza battere ciglio né emettere fattura. Altro che stage aziendali.
La Messa, poi, è stata l’antitesi del baraccone liturgico: poca forma, tanta sostanza. Leone XIV ha scelto la parabola del Buon Samaritano. Tema forte, niente zucchero. Il Papa non fa poesia, fa diagnosi: “Oggi c’è bisogno di una rivoluzione dell’amore”. Lo ha detto senza tremare, come si annuncia una guerra o si chiude un processo. E il messaggio è chiaro: non si tratta di amore da fotoromanzo, ma di carità che lacera il torpore delle anime anestetizzate. Non parlava ai teologi, parlava al popolo. E ha messo nel mirino il mondo reale: guerre che stritolano sogni, economie truccate che macinano poveri come mulini a vento. Il Buon Samaritano, oggi, non è una metafora: è l’ultima chiamata prima della catastrofe morale.
Occhi che guardano, non occhi che passano. Il Papa ha marcato la differenza tra lo sguardo frettoloso — quello che non vede nulla — e lo sguardo del cuore, quello che ti fa fermare anche quando hai mille scuse per tirare dritto. La Chiesa, se vuole sopravvivere, deve imparare di nuovo a guardare così. E a farlo senza messa in scena.
E Castel Gandolfo ha capito il messaggio. Lo ha preso e se l’è messo addosso come un mantello. Non era un evento mondano: era un ritorno alle radici. Sedici anni senza un Papa nella villa pontificia e poi, all’improvviso, la resurrezione civile di un borgo che oggi si scopre capitale spirituale e non solo cartolina estiva.
L’omelia? Da far tremare i polsi ai clericali di professione. Niente frasi fatte, niente “volemose bene”. Solo verità. “Chi è il prossimo?” chiede il dottore della legge. E Gesù — insieme a Leone XIV — risponde: “Chi ha bisogno.” Punto. Senza clausole, senza condizioni.
La Chiesa, quella vera, non ha tempo per le nostalgie. E Leone XIV lo sa. Spinge, incalza, sferza. “Vedete senza passare oltre.” È un imperativo, non un consiglio. Chi non se la sente, si faccia da parte.
Alla fine della Messa, i doni scambiati raccontano un Vangelo fatto di gesti: calice e patena per il parroco, pallone e magliette dall’oratorio, un cappellino con il motto “In illo uno unum”. Più che souvenir, simboli vivi. Che parlano senza bisogno di prediche.
L’angelus sotto la pioggia
Poi arriva l’Angelus sotto la pioggia, scena da kolossal eucaristico. Il Papa si affaccia, il popolo esplode. Non è solo fede, è appartenenza. Tremila persone che non si muovono, nonostante l’acqua a catinelle. Come dire: ci siamo, siamo qui, non molliamo.
Nel discorso dell’Angelus, ancora una volta, la sostanza: pace, giustizia, memoria viva dei sofferenti. Un messaggio che non consola, morde. E chi non vuole farsi mordere, si tappasse le orecchie.
Nota di colore: un gruppo di ragazzi di Montesano, il giorno prima, ha ricevuto la benedizione del Papa. Non un evento mediatico, ma un momento di umanità vera. Più efficace di mille trattati ecclesiologici.
Autorità presenti? Sì, certo. Il vescovo di Albano Vincenzo Viva, il sindaco Alberto De Angelis, e una parata di uniformi lucide e istituzioni ben allineate. Tutto funzionante, senza sbavature. Quando lo Stato e la Chiesa si parlano con intelligenza, il risultato è armonia.
E Leone XIV, nel finale, pensa ai giovani. Cita il Giffoni Film Festival, che sta per iniziare. “Diventare umani” è il tema. Il Papa, uomo di teatro interiore, lancia il suo appello: “Siate protagonisti, non comparse.” Non serve aggiungere altro.
Dietro le quinte, Castel Gandolfo tira un sospiro di sollievo e di gratitudine. I bar pieni, i ristoranti che fanno il doppio turno: anche questo è Vangelo, anche questo è effetto di una fede che si fa popolo.
Ma non è tutto zucchero. La pioggia ha ricordato a tutti che il mondo fuori è un campo di battaglia. E il cammino “da Gerusalemme a Gerico” evocato dal Papa non è un’allegoria spirituale, è la strada accidentata su cui si muovono milioni di disperati, derubati due volte: della speranza e dell’attenzione.
Leone XIV lo sa. E lo dice. La rivoluzione dell’amore non è uno slogan da omelia soft. È un’urgenza. È la sola via per evitare che l’indifferenza diventi legge e la compassione una debolezza da nascondere.