in Papa Leone XIV, Santa Sede - Diplomazia

Sergio Mattarella e Leone XIV: due poteri, un’idea di pace

Il 6 giugno prossimo, il venerabile suolo del Vaticano accoglierà il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella per un incontro con il nuovo condottiero della Chiesa cattolica, Papa Leone XIV. Non è una notizia qualunque, questa. Quando un Presidente e un Pontefice si siedono a chiacchierare, anche i muri – specie quelli del Vaticano – si mettono ad ascoltare. E forse, a registrare.

Il primo contatto tra i due risale al 18 maggio, giorno della messa d’inizio pontificato. Una giornata densa di incenso e flash, cerimoniale e spirito. Mattarella, che di understatement ha fatto un’arte, quel giorno parlò poco ma scelse parole calibrate, dolci, forse persino sincere – per chi ci crede. E forse, in effetti, ci credeva.

Ma il 6 giugno è un’altra storia. Non sarà la solita passerella da foto ricordo con stretta di mano e sorriso d’ordinanza. Si tratterà – ci dicono – di una visita ufficiale. E nell’arte sottile della diplomazia, le etichette sono tutto: quando da “visita di cortesia” si passa a “visita ufficiale”, vuol dire che le parole iniziano a pesare, le agende si aprono sul serio, e anche le strette di mano diventano atti politici.

L’agenda, a sentire gli addetti, è «aperta». Traduzione: si può parlare di tutto o di niente. Ma se metti insieme un Papa appena eletto e un Presidente in uscita, qualcosa esce sempre: Ucraina, Medio Oriente, crisi globali e magari perfino le nostre italiche malinconie. Non che basti una benedizione o una firma per fermare i conflitti, ma il dialogo è l’ultima moneta che abbiamo prima del baratro.

C’è anche chi vocifera di un possibile invito al Quirinale. Ricambiare la visita del Pontefice sarebbe un gesto elegante, una carezza istituzionale. Un gol al novantesimo, direbbe un telecronista. In una politica spesso ridotta a rumore di fondo, anche il simbolismo può diventare sostanza.

Naturalmente c’è chi storce il naso: teatro, dicono, recita da palcoscenico. Ma attenzione: **anche il teatro serve**, eccome. Quando non ci si parla, i fraintendimenti proliferano come muffa nei corridoi del potere. Meglio una stretta di mano troppo teatrale che un silenzio carico di diffidenza.

Va detto che Mattarella, uomo di fede discreta ma solida – **cattolico vero, non di facciata** – ha fin dall’inizio mostrato simpatia per Leone XIV. Non è solo questione di stile, ma forse di sintonie profonde. Il Papa ha esordito parlando di pace con toni netti, e al Quirinale questi richiami sono stati accolti con più che cortesia: con un certo sollievo.

“Fervidi auguri”, scriveva Mattarella all’indomani dell’elezione. Parole che sembrano di protocollo, certo. Ma in questa fase storica, le parole contano, e contano più delle dichiarazioni roboanti che ogni giorno bruciano sui social e si spengono in 12 ore. Leone XIV e Mattarella – due uomini d’altri tempi? Forse. O forse solo due figure che ancora sanno parlare senza urlare, e che si fidano della forza delle istituzioni più che del frastuono dell’attualità.

Dietro l’incontro ci sono i grandi temi. Ma anche la possibilità, concreta, che Chiesa e Stato trovino una sintonia rinnovata. Non sarà il Concordato bis, ma in un’Italia che spesso galleggia nel pressapochismo e nel rancore, anche una collaborazione vera tra Vaticano e Quirinale sarebbe ossigeno puro.

Certo, non dobbiamo essere ingenui. I miracoli veri accadono di rado, anche sotto le cupole vaticane. Ma certi segnali contano: in un’epoca che comunica a colpi di slogan, una conversazione pacata può sembrare rivoluzionaria. E chi lo sa? Magari proprio questa visita passerà alla storia. O forse no. Ma intanto, nel dubbio, meglio guardarla con attenzione.