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Leone XIV: tra paradossi moderni e speranze antiche

Papa Leone XIV: un ponte tra speranze antiche e contraddizioni moderne. Coinvolge i giovani nella vigna di Dio, sfidando le mode effimere.

In un mondo dove persino la fede si misura in hashtag e ci si inginocchia al santino del “politicamente corretto”, Papa Leone XIV alza la voce con un richiamo che profuma d’antico ma risuona stranamente moderno: “Rimboccatevi le maniche!” Un’esortazione evangelica che, oggi, sembra quasi una provocazione. Anche perché, diciamocelo, spesso c’è da rimboccarsi le maniche solo per scrollarsi di dosso le stupidaggini con cui la modernità ci bombarda ogni giorno.

Il suo pontificato nasce in equilibrio su un filo sottile e ben teso. Da una parte, l’eredità di Francesco – acclamata da alcuni, sospirata da altri. Dall’altra, il desiderio palpabile di restituire profondità a una fede che rischia di diventare un confetto ben confezionato. Ma nessun effetto speciale qui: Leone XIV non lancia rivoluzioni arcobaleno, bensì un cristocentrismo che oggi pare quasi sovversivo, soprattutto agli occhi di chi ha ridotto la Chiesa a un circolo buono per tutte le stagioni o, peggio, a uno strumento di propaganda etica fai-da-te.

Durante l’udienza generale in Piazza San Pietro, il Papa ha incarnato la figura del “padrone della vigna” della parabola di Matteo. Un’immagine sorpassata? Forse. Ma in tempi in cui anche la dignità viene svenduta al primo offerente, sapere che esiste Qualcuno che ti chiama per nome non è un gesto di nostalgia: è una frustata alla coscienza. Un pugno allo stomaco per chi vive a colpi di slogan e indulgenze da discount spirituale.

E i giovani? Traditi da un sistema che li illude con sogni già pronti, preconfezionati come le merendine. Leone XIV è chiaro: «Non aspettate!» Basta con l’eterna attesa del momento giusto. La risposta è semplice, diretta, quasi brutale: mettetevi al lavoro. Ora. Un messaggio che ha il sapore di una rivoluzione nel mondo di chi premia l’inazione e chiama “riflessione” ciò che spesso è solo paura mascherata da cautela.

Nel Giubileo del 2025, dedicato a “Gesù Cristo nostra speranza”, il Papa alza il tiro: il vero mercato, oggi, è quello delle anime. E lì, l’indifferenza è la nuova forma di schiavitù. Il cristocentrismo di Leone XIV non è una formula liturgica: è un campanello d’allarme per una Chiesa che rischia di ridursi a braccio operativo dell’assistenzialismo. Evangelizzare, per lui, non è cercare like, ma cambiare vite. Punto.

Quanto alla dottrina sociale, Leone XIV non si piega alle mode, ma non si irrigidisce nemmeno nella nostalgia. Promuove una fratellanza concreta, reale, mai da salotto. Lo dimostra accogliendo i detenuti di Rebibbia: misericordia e giustizia, finalmente alleate, non più alternative.

E se guardiamo all’incontro con la National Italian American Foundation, capiamo che Leone XIV non gioca solo in casa. Parla di radici e identità, ma con uno sguardo aperto, pronto a raccogliere le sfide della modernità. Così come avviene nella Giornata di preghiera per la Chiesa in Cina: non slogan, ma speranza che prende voce nei canti di comunità diverse, unite da un’unica sete di pace.

Nel caos di una Chiesa che a volte sembra crogiolarsi nella lamentazione o nella sterile contabilità dei fallimenti, Leone XIV ricorda che la speranza non è una decorazione da omelia, ma l’unico antidoto al cinismo da salotto e al nichilismo da tastiera. E forse non si tratta nemmeno di scegliere tra rottura e continuità: si tratta di tornare all’essenziale. A quella semplicità che sa essere più potente di qualsiasi trovata di marketing teologico.

La vera rivoluzione di Leone XIV? Riportare Cristo al centro, e farlo senza chiedere scusa. Inorridiranno i benpensanti? Tanto meglio. Perché, come lui stesso suggerisce, è proprio quando ci rimbocchiamo le maniche che inizia la vita vera.