Siamo al crepuscolo, quel momento in cui la luce inganna l’occhio e la verità si sfilaccia tra illusione e propaganda. È lo stesso sentore che si respira nei palazzi della diplomazia, dove il Vaticano viene evocato come possibile mediatore nel conflitto tra Russia e Ucraina. Suggestivo? Sì. Ma serve sobrietà, non incenso.
Il 19 maggio 2025 finirà sui libri, non per i risultati, ma per la messinscena degna di un palcoscenico globale. Mentre sorseggiavo un caffè lungo – amaro come la politica – arriva il siparietto del giorno: Donald Trump, tornato in sella come un Rambo della diplomazia, si fa due ore di telefonata con Vladimir Putin. I toni? Incredibilmente zuccherosi. Trump parla di un dialogo “eccellente”, Putin lo definisce “franco e molto utile”. Mancava solo l’accordo sul prezzo di un’utilitaria usata, ed eravamo a posto. Concreti progressi? Neanche l’ombra.
Trump, con il suo solito pragmatismo da venditore navigato, propone un cessate il fuoco immediato. Le condizioni, dice, devono deciderle i diretti interessati. E qui nessuno può dargli torto. Ma chi ha anche solo sfiorato questo dossier sa che i dettagli non sono sfumature: sono mine. Il Cremlino, con il suo portavoce Peskov, mette le mani avanti: “serve un lavoro accurato e possibilmente prolungato”. Tradotto: meglio non avere fretta. O forse meglio non farlo affatto.
Ed ecco il colpo di scena in stile hollywoodiano: Trump tira fuori dal cilindro l’idea di ospitare i negoziati in Vaticano. “Sarebbe fantastico”, dice, con il tono di chi propone una cena romantica all’ultimo minuto. Ma non è uno scherzo. Il Vaticano, simbolo universale di pace e spiritualità, diventa d’un tratto l’epicentro di una trattativa tra due belve geopolitiche. Un’idea tanto assurda da sembrare geniale.
Papa Leone XIV, che di diplomazia ne mastica più di molti leader mondiali, si dice disponibile a fare da facilitatore. Una posizione di principio, ma anche di sostanza. In Europa non mancano gli applausi: Merz, il cancelliere tedesco, annusa l’occasione per mettere Roma al centro. Meloni, col consueto vigore tricolore, ribadisce che l’Italia è pronta a “facilitare i contatti e lavorare per la pace”. Applausi, foto di rito e comunicati stampa. Tutto molto istituzionale, tutto molto europeo.
Nei corridoi di Bruxelles e Strasburgo l’aria è frizzante. Trump ha informato von der Leyen e Macron della sua chiacchierata con lo zar. Le sanzioni? Rimaste sul comodino, pronte da tirare fuori se il giocattolo dei negoziati dovesse rompersi.
Ma attenzione: tra Trump e Putin le divergenze restano grosse come palazzi. Putin vuole “eliminare le cause profonde della crisi”, formula che suona come un invito all’Ucraina a tornare nell’orbita russa. Una posizione tanto prevedibile quanto indigesta. Eppure c’è ancora chi si illude che basti un tavolo tondo e qualche faccia serena per disinnescare una guerra.
Trump, dal canto suo, prova a mettere pressione: se il dialogo non porta a nulla, lui si sfila. “Mi farò da parte”, dice. Il tono è quello di chi vuole sembrare duro, ma forse sente già che il vento soffia altrove. Non proprio una ventata di ottimismo.
Il Cremlino, per ora, prende tempo. “Non sono state prese decisioni specifiche sul luogo dei negoziati futuri”. Formula perfetta per dire tutto e niente. I burocrati russi sono maestri in quest’arte: far credere che si muovano mentre restano immobili come sfingi.
In questo pantano di parole e promesse, l’idea del Vaticano resta in piedi. Sarà un gesto simbolico o un vero slancio verso la pace? Difficile dirlo. Ma almeno, per una volta, si parla di Roma non per scandali o debiti, ma per una prospettiva di dialogo.
Il diavolo, come sempre, si annida nei dettagli. Il rischio è di fare del Vaticano il palcoscenico di un teatrino diplomatico. Ma forse, proprio da lì, potrebbe partire un inizio. Piccolo, imperfetto, ma necessario.
Alla fine, non sarà un bicchiere di rosso a stomaco vuoto, ma se davvero il Vaticano riuscisse a incarnare una speranza di pace, allora anche i più cinici dovranno ammetterlo: a volte, perfino i simboli possono fare la storia. E chissà, magari da sotto le tonache qualcuno tirerà fuori una carta buona.
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