in Ucraina

Lavrov boccia i colloqui in Vaticano: ironia e realpolitik all’ombra del Cupolone

Tra le cupole di San Pietro e le vie tortuose del potere, si snoda un dramma che mescola geopolitica e diplomazia alla maniera di un film di Wim Wenders. La Russia di Lavrov, nel suo inimitabile stile glaciale, ha deciso che dialogare in Vaticano per risolvere la crisi ucraina è una cosa “irrealistica”. Non sia mai che si stendano i tappeti rossi per degli ortodossi tra le mura cattoliche: una questione di etiquetas, si dirà. Ma chi ci crede davvero?

Il ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov, ha chiuso la porta con la chiave dorata di chi può permetterselo, sottolineando con una certa nonchalance che Mosca non si sente a suo agio tra le braccia di Roma. Per Putin e compagni, i colloqui devono cominciare dal riconoscimento della “nuova realtà territoriale”: un eufemismo per dire “le terre che ci siamo presi”. In pratica, ci raccontano una favola che nemmeno ai tempi dell’URSS.

L’ironia è che mentre Lavrov snobba il Vaticano, Papa Leone XIV e i vescovi europei parlano di “pace giusta”. Ma che significa, vi chiederete? Significa denunciare quella follia chiamata guerra e invitare alla ragione. Perché in fondo, a Roma, si è sempre saputo che una pace ingiusta è solo una tregua per il prossimo disastro.

Nel frattempo, i presuli della Comece, l’allegra compagnia dei vescovi europei, sono in fibrillazione. Hanno appena incontrato il Papa e, tra un caffè e un amen, hanno messo i puntini sulle “i”. La pace deve essere giusta, cioè non solo assenza di guerra, ma anche giustizia per chi sta sotto le bombe o muore di paura. Hanno cerchiato di rosso anche il problema del riarmo: più soldi per le armi, meno per i bisognosi. E la bolletta la paga chi? I soliti, ovvio.

Ma torniamo a Lavrov, perché non è finita qui. Il suo discorso si fa interessante quando si parla di legittimità. Zelensky, per Lavrov, appare come un re nudo. Non ha la “legittimità” per firmare un trattato di pace, afferma il ministro con tono deciso. Peccato però che nel mondo delle favole diplomatiche, la legittimità è un concetto elastico, che si piega come il miglior yoga.

La Santa Sede, intanto, continua a mostrarsi come la zia saggia e paziente in una famiglia disfunzionale. La Chiesa cattolica, pur a dispetto delle defezioni e dei giovani che scappano dai registri battesimali come diavoli dall’acquasanta, non molla. E sebbene Lavrov parli di “irrealismo”, il Vaticano, con il suo bagaglio di secoli di diplomazia, non si arrende.

Insomma, tra parrocchie, trattati e i soliti giochi di potere, la scena è questa: Mosca e Kiev sembrano voler giocare a scacchi sulla pelle di chi è già stato colpito troppo duramente. E il Vaticano, nonostante le critiche, rimane lì, immobile, con il suo messaggio di pace che attraversa i secoli. Come se dire che “la pace è possibile” fosse un sacrilegio. Ma a chi importa? Contro ogni pronostico, a Roma si continua a credere nei miracoli. E chissà, magari uno di questi giorni, anche il gelo delle steppe russe potrebbe sciogliersi.

Se la Santa Sede riuscirà o meno a realizzare questo travagliato sogno di pace, è ancora tutto da vedere. Ma almeno, in un mondo dove le parole a volte valgono meno di un caffè al bar, il messaggio è chiaro: il dialogo non muore mai, anche quando sembra che nessuno lo voglia. E mentre i potenti giocano a Risiko, qualcuno dovrà pur ricordare loro che le persone sono più importanti dei territori. Anche quando è scomodo, anche quando è irrealistico. Perché finché c’è vita, c’è una speranza. E la speranza, in fondo, non muore mai.

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